Qualche tempo fa, in via Carducci, mi sono fermata al giallo semaforico. L’auto dietro di me ha accelerato, mi ha sorpassata, è passata col rosso a quel semaforo e ha bruciato anche i successivi due, andando almeno a 70 km/h. Qualche ora più tardi in costiera un furgone è uscito da uno stop e ha agganciato il ciclista davanti a me facendolo cadere, in pieno giorno il ciclista aveva anche le luci accese. Per miracolo non si è fatto niente. Rientrando a casa la sera mi sono fermata al semaforo rosso in piazza Foraggi e le auto dietro di me mi hanno suonato il clacson per intimarmi di bruciare il semaforo (che con la galleria chiusa è solo pedonale, ma è pur sempre un semaforo rosso).
Tutto questo succedeva solo in un giorno, mentre il giorno precedente a Sveglia Trieste ho dovuto ascoltarmi le pseudostatistiche infondate del consigliere che era con me in trasmissione e che affermava che il 90% delle bici violano il codice della strada. Un luogo comune difficile da sradicare, ma le “statistiche” sparate così valgono meno di zero e sono solamente dannose, tanto più se vengono espresse da un rappresentante pubblico in diretta tv.
Ma le due frasi inaccettabili che ho dovuto ascoltare, mentre si parlava di due bambini investiti fuori da scuola sono:
– “i pedoni devono stare più attenti”
– “la strada è delle auto”
Ed ecco il mix che sta rendendo invivibile la nostra città.
Nel primo caso, una colpevolizzazione della vittima, che profuma tanto di machismo tossico. D’altra parte, un brillante articolo letto qualche tempo fa su Internazionale usava il termine “capitalismo petrol-sesso-razziale”, a identificare come le questioni ambientali economiche e sociali siano in realtà estremamente legate. Questioni che non smettono mai di essere drammaticamente attuali, come ci ha dimostrato il volantino di Cividale che affermava che contro le violenze sessuali la soluzione sia quella di non sorridere e non indossare le gonne.
La seconda frase evidenzia la prepotente presunzione dell’egemonia dello spazio da parte dei mezzi a motore. Proprio perché l’aggressività sulle nostre strade ha raggiunto livelli inaccettabili, ho presentato un ordine del giorno al bilancio chiedendo di usare i proventi delle multe per una campagna di comunicazione contro l’aggressività stradale. Ordine del giorno che è stato accolto, ora dovremo vigilare sulla sua applicazione. Ma di certo non basta.
La nostra ricetta per affrontare seriamente il problema drammatico della sicurezza in strada?
Partiamo dal ricordare che la strada è uno spazio pubblico, e come tale è di tutti, a partire dal più debole.
Lavorare sui dati. E su questo abbiamo attivato un super gruppo che li sta analizzando con grande serietà.
Fare proposte concrete e strutturali per la sicurezza degli utenti deboli. Ne abbiamo già fatte tante, ne metto qui alcune:
- “nonno paletta” a Cattinara
- Mozione incidenti stradali
- Mozione sicurezza e pedonalità via Veronese
- Mozione via del Veltro via del Destriero
- ODG a Bilancio
Avere come ambizione quella di arrivare alla “città 30” come strumento per la Vision zero, una città dove non ci siano feriti gravi o morti in strada. Non è utopia o idealismo: molte città ci stanno lavorando e alcune hanno già dimostrato che è possibile.
Lavorare per restituire lo spazio stradale alle persone, con interventi che al contempo riducano la cementificazione aumentando gli spazi verdi e di socialità.
La visione sugli spazi pubblici è una questione di democrazia. La strada da fare è lunga. Noi la faremo alla velocità giusta, con i nostri mezzi.
(Nella foto, un attraversamento pedonale di Campo San Giacomo, dove negli ultimi 4 anni ci son stati il 90% di feriti in caso di incidente. Colpa dei pedoni?)
Qui un video fatto durante la campagna elettorale per le comunali, che dimostra come le strade progettate per i più fragili sono strade a misura di tutt*